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MINORITY REPORT
(MINORITY REPORT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 ottobre 2002
 
di Steven Spielberg, con Tom Cruise, Colin Farell, Samantha Morton, Max von Sydow, Stephen Ramsey (Stati Uniti, 2002)
 
"Il film è stato concepito prima dell'11 settembre 2001, non potevo immaginare che questi temi sarebbero diventati di attualità così calda. E, senza la tragedia delle due Torri, credo che l'accoglienza sarebbe stata più problematica. Per un'ironia della sorte le coincidenze del film con la realtà sono molte. La più importante è che oggi gli americani sono assai più disponibili a sacrificare la loro libertà personale purché si debelli la minaccia del terrorismo". Così, Steven Spielberg.

Sarà. Ma in questo caso la facoltà quasi divinatoria di MINORITY REPORT, o forse quella caratteristica che è propria del cinema di riflettere la propria epoca, gli umori, le preoccupazioni come le invenzioni spettacolari per evadere da queste afflizioni, si sono una volta ancora clamorosamente confermate: nell'opera di un cineasta che già le aveva espresse - sotto la vernice del divertimento - con un minaccioso camion assassino, uno squalo di cartapesta o un alieno raggrinzito.

Perché, sarà anche il suo primo thriller, come dice Spielberg. Il suo primo giallo di anticipazione, ispirato a quelli mitici di John Huston e compagni. Ma, per prevedibilmente "noir" che sia, quella di MINORITY REPORT è pur sempre la storia di un futuro assai prossimo (2054) nel quale gli abitanti, a seconda delle classi sociali, vivono ancora in appartamenti del tutto simili ai nostri. Con qualche dettaglio inedito, malgrado tutto: ad esempio, che la polizia ha imparato a colpire i criminali "prima" che essi abbiano avuto il tempo di commettere il delitto. Grazie alla visione di alcuni illuminati (i "precogs"), poveracci che vegetano angosciati ed immersi in un liquido amniotico, grazie all'informatica che permette di elaborare e materializzare i loro pensieri, i militi della compagnia Pre-cognitiva sono in grado di agire sulle degenerazioni future dei mal intenzionati. Intervenire sulle intenzioni: così, la punizione precederà l'atto che dovrà (o avrebbe dovuto, in qualche caso; ma si tratta di un "dettaglio"…) giustificarla.

"Esistono due modi di considerare l'esistenza. Siamo in grado di padroneggiarla: ed allora la tecnologia è più che utile. Oppure, siamo dei semplici elementi alla deriva del destino, impotenti a dibatterci: ed allora il cammino è tracciato". Diciamo che, più di un concetto filosofico che il regista traduce un po' frettolosamente, MINORITY REPORT ci parla, più utilmente, di privazione del libero arbitrio. Di manipolazione; da parte di chi fa evolvere la tecnica, di chi ritiene di poter dettare le ideologie, finisce per sfruttare i privilegi più perversi concessi dal potere. Inutile dirvi ciò che capita al nostro anticipatore di crimini Tom Cruise, inevitabilmente vittima a sua volta di un sistema destinato a rivoltarsi fra le mani di chi lo esercita. Di un complotto: che, come ben sappiamo, finisce per giustificare tutto, e spiegare poco o niente. Ma il rinvio costante fra la ragionevole fantascienza del film e l'attualità assai più irragionevole che ci sta attorno rende la progressiva vanificazione delle libertà individuali descritta in MINORITY REPORT, oltre che assai efficace drammaticamente, assolutamente inquietante razionalmente.

MINORITY REPORT è, naturalmente, anche cinema. Fabbricato con la perizia (dinamica, ad esempio) che conosciamo all'inventore degli inseguimenti alla INDIANA JONES. Saggiamente edulcorato da tocchi umoristici che sono anche invenzioni espressive: gli ombrelli che si spalancano per incanto sotto i grattacieli proteggendo i nostri dalla vista degli inseguitori, i titoli dei giornali che si animano, gli imballaggi parlanti di corn-flakes, le insegne dei commerci che intervengono nell'identità dei passanti, i ragni elettronici destinati a "scannare" le pupille di ogni individuo. E, infine, poeticamente segnato dall'incontro (ancor più marcato e riuscito che nel precedente A.I.) con il cinema del vecchio maestro ed amico, Stanley Kubrick.

Ed allora, non si tratta tanto delle citazioni vere e proprie che scandiscono il film: le creature embrionali ed asessuate, riflesse in una dimensione esasperatamente sovra-esposta che ricorda quella atemporale del meraviglioso finale di ODISSEA NELLO SPAZIO. O i giochetti semiseri con le pupille, gli strumenti chirurgici, l'uso delle musiche classiche, che rinviano ad ARANCIA MECCANICA. Ma di una fusione fra due universi poetici, apparentemente distanti nelle loro origini culturali, che avviene progressivamente nelle immagini che ci scorrono innanzi. Due universi nei quali le preoccupazioni spettacolari, ed il virtuosismo che le governa, sembrano immergersi progressivamente in una dimensione destinata a rinnovarsi continuamente. Verso latitudini visionarie e fantastiche: ma, nel contempo, verso significati che non vogliono perdono di vista le miserie del nostro quotidiano. Un amalgama che è solo dei grandi; quelli destinati ad affascinare.


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